Chiesa di San Carlo Borromeo

Ultima modifica 26 luglio 2023

Carlo Borromeo fu uno dei personaggi più contraddittori del suo tempo: il popolo dei devoti ne fece un santo, la schiera degli avversari lo definì fondatore di una teocrazia dispotica. Nel 1885, a Milano circolava un libello che lo descriveva come un Torquemada dirozzato, un fanatico che volle trasformare la città in un convento, un persecutore che non risparmiò «tenaglie, ruote e corde». Per poter cogliere l'immagine vera di San Carlo si è fatto ricorso non agli elaborati documenti ufficiali, ma a quella fonte genuina che scaturisce limpida dal cuore e dalla mente di un uomo: la corrispondenza privata. Le lettere indirizzate alle sorelle, e in particolare alla sua prediletta Anna, hanno permesso il controllo ravvicinato di eventi e date, la scoperta di notizie non filtrate dal prudente riserbo o manipolate da redattori ne mutilate e deviate da silenzi arbitrari e interessi di parte. Questa «fonte diretta» di informazione ha fatto sì che si potessero correggere e aggiustare episodi, sfatare leggende, chiarire lati oscuri. Un contributo importante proviene inoltre dalle «minute», perché frequentemente san Carlo scrive o detta di getto, ma poi ci ripensa, revisiona e dietro le cancellature, le correzioni o le aggiunte, si intravede il suo pensiero più vero, quello che non fu soffocato dalla sua notevole capacita di autocontrollo. Nella sua funzione di governo fu determinate e impassibile tanto da essere chiamato “l'uomo di ferro”, “il martello degli eretici”; ma nelle lettere famigliari appare intriso di umanità, si permette abbandoni e tenerezze, si lascia coinvolgere dall'ansia o dal rancore. La corrispondenza ci fa incontrare un Carlo che si dichiara orgoglioso del colore della sua porpora perché rosso sangue, quasi un annuncio di martirio, e un altro Carlo che, confuso e triste, confida le proprie angosce; un uomo sul cui volto non appare mai né un sorriso, né una lacrima, e un altro che, quasi materno, si intenerisce davanti a una nipotina in fasce. L'indagine sull'uomo comune che sonnecchia sotto la ruvida tunica dell'asceta non intacca l'immagine del santo; anzi, fa nascere in noi, oltre allo stupore per la sua grandezza, un'affettuosa simpatia che ce lo fa riconoscere come uno di noi. E’ di Carlo, non di san Carlo, che questa libro vuole parlare.


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